In una società sempre più confusa e disorientata, dove si è in continua ricerca di riferimenti e certezze, affibbiare etichette a ciò che è “diverso” da noi è senza dubbio un aiuto per le nostre sicurezze. Che poi, diciamolo, ciò che non conosciamo ci spaventa sempre un po’, e provare a dargli un nome, un colore o delle caratteristiche prefissate è anche una forma di demistificazione. Ecco perché voglio darvi 10 consigli per individuare il “Disabile Ideale”.
Sì, avete capito bene: abbattere le barriere culturali sarà facile con questa pratica guida! Imparerete a rapportarvi col magico mondo della disabilità senza più sentirvi inadeguati, anzi, vi convincerete del fatto che i vostri atteggiamenti siano corretti e vi sentirete subito persone migliori. In fin dei conti, da sempre si cerca di migliorare la propria identità sociale sentendoci quasi in dovere di determinare e giudicare quella altrui. Da oggi vi risparmierete un bel po’ di fatica con questo “Decalogo del Disabile Ideale”.
1. Il sociale come habitat
Per definizione stessa, il Disabile Ideale (che chiameremo anche D.I.) lo potrete trovare in ambienti tipici del sociale e del volontariato, essendo la sua “materia” e il suo “campo” specifico (quando non si trova in ospedale per visite o cure, ovvio!). La sua capacità di divertimento ed espansività, infatti, è quasi nulla, tanto che i pochi amici che ha sono quasi tutti volontari o infermieri che si prendono cura di lui. Scordatevi dunque tutti quegli hobby che potrebbero distrarlo dalla sua missione verso i più sfortunati come lui: non suona uno strumento, non canta, scrive o balla, raramente legge o va al cinema, figuriamoci recitare a teatro o occuparsi di politica (le due cose sono casualmente scritte di seguito). Insomma, conduce una vita tranquilla e sedentaria, come è naturale che sia.
2. Un esempio di felicità
Altro che burocrazia interminabile o barriere architettoniche. Il Disabile Ideale, in quanto tale, sopporta tutto con ammirevole coraggio e pazienza, apparendo (ma vedremo poi che non è sempre così…) sorridente, positivo e ottimista. Un esempio per quegli abili ai quali troppo spesso non girano “le ruote” ma ben altro, mentre lui non si lascia sfiorare da nulla! Hai voglia che spendere soldi in corsi motivazionali… Dal D.I. potrete trovare costante supporto (gratuito) ai vostri problemi, che si tratti di paturnie amorose o lavorative. Diventerà la vostra fonte di ispirazione preferita e vi potrete vantare coi vostri amici della gratitudine che provate nei confronti di questo “grande eroe”. Magari al bar, di fronte ad un amaro con ghiaccio.
3. Ormoni sotto controllo
Con un Disabile Ideale non rischiate di rovinare amicizie e perdere tempo a friendzonare. Essendo completamente asessuato non avvertirà l’impulso irrefrenabile di saltarvi addosso, e mai lo sentirà! Oltretutto, è noto a tutti che le uniche coppie sono formate esclusivamente da due D.I. , tenute in piedi (scusate la battuta) dalla tenerezza e dalla voglia di compagnia reciproca, non certo per amore o sana attrazione fisica. Tranquilli quindi, niente sensi di colpa o “canzoni dell’amore perduto” di De André dedicate al telefono in piena notte. Sono così angelici che Lourdes è quasi la loro seconda casa!
4. Coppie di comodo
Tenendo conto del punto 3, la minoranza di Disabili Ideali che si fidanza o sposa con una persona normodotata lo fa, ovviamente, per comodo, innalzando così la loro immagine sociale anche se in realtà si tratta di un’auto-convinzione ingannevole. La persona abile in genere è la sua badante o una giovane ragazza straniera, tendenzialmente dell’est-Europa, interessata solo alla sua pensione di invalidità e alla Bella vita. Un rapporto che è un tacito assenso da entrambe le parti, in un compromesso che unisce l’utile al dilettevole. O, se preferite, due piccioni con una fa… Ehm, andiamo avanti.
5. Professione “mantenuto”
In un momento di crisi economica 500 € di pensione di invalidità sono una vera benedizione! Sì, va bene, non bastano per rendere pienamente indipendente chi necessita di assistenza e permettergli una vita normale, attiva e soddisfacente, ma chi se ne importa! Volete mettere stare a casa, al calduccio, sparandosi serie TV su Netflix e mangiando patatine in pigiama tutto il giorno? Il vero sogno del D.I. è vivere alla giornata facendosi mantenere dallo Stato anziché andare a lavoro per conquistarsi, come tutti, la propria indipendenza. A che serve contribuire al progresso della società se tanto ci sarà sempre chi ruberà il parcheggio per gli invalidi? Tra l’altro il Disabile Ideale non ha nemmeno studiato, o difficilmente ottiene una laurea, proprio perché non rientra nelle sue priorità: ignoranza come “state of mind”. Molto meglio oziare, facendosi scudo dei propri punti deboli.
6. “Kondividi se ai un quore”
Qui non c’è molto da dire. Se su un social network, primo tra tutti Facebook, vedete la foto di un disabile con su scritto qualche giorno della settimana, “buongiorno/buongiornissimo” oppure “kaffèèèè???”, allora statene certi: quello è un Disabile Ideale. Per sentirvi meglio facendo una buona azione dovrete condividere prima possibile quel post, magari commentando con “Piccolo”, “cucciolo” oppure “amen”. Avrete appoggiato così un altro mattone della solidarietà in questa grigia società, oltre a dimostrare di avere un cuore senza il bisogno di fare una TAC.
7. Sindrome premestruale perenne
Tendenzialmente l’umore del Disabile Ideale non è dei migliori dato che la sua positività e innata dote nel vedere il bicchiere sempre mezzo pieno, in realtà, è spesso una maschera per preservare il suo status. Ma chi vive certe condizioni (sottolineo “condizioni”) ed è, magari, costretto su una carrozzina (e sottolineo “costretto”) è sempre depresso e parla solo della propria sfiga, piangendosi addosso e lamentandosi in continuazione. Questo li porta spesso a lasciarsi andare, rifuggendo ogni interesse verso se stessi: i D.I. vestono unisex, le ragazze non si truccano mai e non curano il proprio aspetto (niente shopping che non sia in una Sanitaria, tra scarpe ortopediche e comode tute), non vanno in palestra se non per riabilitarsi, non praticano sport se non i videogiochi, né tantomeno prendono la patente per paura di far danni. È già tanto se si cambiano il pannolone (che li accomuna quasi tutti).
8. Essere permalosi non è un optional
Occhio a come chiamerete un Disabile Ideale, perché basta una parola detta male per scatenare una vera e propria guerra diplomatica. Non è solo un fatto di permalosità o di politically correct, ma di vera e propria definizione sociale. Per questo, saprete di trovarvi di fronte ad un vero esemplare di D.I. quando quest’ultimo susciterà in voi il classico dilemma: “e mo’ come lo chiamo??”. Disabile, diversamente abile, handicappato, persona con difficoltà motorie… La scelta è ampia, la reazione inaspettata, i sudori freddi inevitabili. Perché si sa, da questa etichettatura dipende l’esistenza del Disabile Ideale.
9. Barbara D’Urso nel Curriculum Vitae
Se esistesse una classifica dei Disabili Ideali, sicuramente in pole position troveremmo quello che è stato ospite a qualche programma strappalacrime in TV. Regina indiscussa della pietà (vera aura che aleggia intorno al D.I.) è lei, Maria Carmela D’Urso, per il popolo italiano “Barbara”: in soli 5 minuti di intervista sarà in grado di rafforzare ogni vostra convinzione e giusto pregiudizio nei confronti della disabilità. Una garanzia per trascinare più in basso il D.I. (che è ciò che vuole per avere attenzione, non potendola ottenere in altri modi) e più in alto voi e la vostra compassione. Preparate la scatola di kleenex però, mi raccomando, che se non piangete Barbarella se n’ha a male.
10. Ma soprattutto, il Disabile Ideale vi sa prendere in giro
Sì, perché in una società che tenta ogni giorno di relegarlo negli angoli più bui della propria piramide, l’ironia e l’autoironia sono le migliori armi possibili per far fronte all’ignoranza imperante. E quindi niente: vi ho gabbati anche io, e i precedenti 9 punti diventano adesso praticamente inutili. O quasi… Perché forse ora avete capito che un Disabile Ideale non esiste, ma soprattutto che non c’è niente di “prefissato” se non l’amore verso se stessi e ciò che si è, che dovrebbe diventare l’unica costante. Amore, anche per quell’equilibrio fragile e precario, così simile a ciò che tiene insieme tutte le cose più vere della vita, e che in fondo non è altro che la risposta migliore ad ogni nostra domanda più importante. L’umanità, così imperfetta ma bella da morire.
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